Il faldone con la segnatura archivistica Museo Sveviano FS Corr. A 57 contiene il carteggio tra Italo Svevo e James Joyce, o meglio il professor Zois. I due scrittori si conoscono infatti a Trieste nel 1907, quando Svevo si rivolge all’allora docente di lingua inglese presso la Berlitz School per apprendere la lingua. Inizia così una lunga amicizia, produttiva da un punto di vista intellettuale, come racconta in un’intervista a Sergio Falcone la figlia di Svevo, Letizia:
Un grande amico di papà fu James Joyce. Mio padre, che si recava spesso a Londra per curare da vicino gli interessi della filiale inglese della ditta Veneziani, decise di studiare bene l’inglese e di prendere una serie di lezioni da Joyce, allora giovanissimo professore alla Berlitz School di Trieste (eravamo, credo, nel 1907). Joyce cominciò a venire in villa Veneziani e a dar lezioni a mio padre e a mia madre. Durante una delle prime lezioni disse loro che era uno scrittore, che aveva pubblicato una raccolta di poesie, Chamber Music (1907) e che aveva composto un romanzo, A Portrait of the Artist as a Young Man (o Dedalus) e i racconti Dubliners. I miei genitori ne furono subito entusiasti: mamma si recò in giardino e portò a Joyce un mazzo di rose. Allora papà timidamente gli disse: ‘Sa, anch’io ho scritto; ma ho scritto due libri che non sono stati riconosciuti da nessuno’. Così ebbe inizio l’amicizia tra Joyce e mio padre, che durò, attraverso frequenti contatti personali, sino al 1915, allorché Joyce, come cittadino inglese, dovette lasciare Trieste, dato lo stato di guerra fra l’Austria e l’Inghilterra. Egli si recò dapprima in Svizzera, a Zurigo, con la moglie Dora Barnacle e i due figli, e quindi, nel ’20, a Parigi. Ma tale amicizia durò, per così dire, a distanza, anche negli anni successivi alla prima guerra mondiale.
SERGIO FALCONE, Italo Svevo e James Joyce: ritratto di un’amicizia. Intervista a Letizia Svevo Fonda Savio, 1982