Umberto Saba ammirava Italo Svevo e lo testimonia il tributo che fa allo scrittore firmando e datando la copia de La Coscienza di Zeno del 1923 con la nota di possesso in copertina “mio! Trieste 31/VII/1923 Saba”.
I due scrittori avevano occasioni di incontro nei caffè triestini e Svevo era uno dei frequentatori della Libreria Antiquaria di Saba in Via San Nicolò 30.
Il loro era un rapporto ambivalente, un’alternanza di stima e critica, ammirazione e non sopportazione, come emerge da certi scritti o affermazioni dei due autori.
Svevo dice di Saba…
Svevo mostrava interesse per gli scritti di Saba anche se, in una lettera a Larbaud del 1926, scrive:
Umberto Saba, poeta molto noto in Italia, mio concittadino, e che m’interessa molto ad onta che abbia quel benedetto vizio di lasciare in bianco una parte della carta su cui scrive, Le invierà dei suoi libri. Non è solo per alimentare quel Suo «vizio impunito» che Le faccio inviare questi libri. Il Saba a me pare un uomo interessante e un magnifico poeta che trae dalle cose delle parole che sono veramente sue. Ma non spetta a me di dare dei giudizi.
– ITALO SVEVO, a Larbaud, Trieste, 30 aprile 1926 –
Svevo non amava la poesia e affermava che “non è arte il verseggiare”. Anche a Montale, in una lettera del 1 dicembre 1926, scrive:
Io attendo ansiosamente che dai versi Ella passi al modo più ragionevole di esprimersi.
– ITALO SVEVO, a Montale, Trieste, 1 dicembre 1926 –
Sempre a Montale, in una missiva dall’Inghilterra del 30 giugno 1926, accenna alla malattia di Saba, che soffriva di nevrosi, quasi a volerne scusare il carattere scontroso:
Il quale Saba soffre di una speciale nevrosi e bisogna scusarlo. Forse non ebbe in passato quello che meritava ma ciò avviene a molti vivi (nevvero, Montale?). Da lui ciò sviluppò una specie di malattia di cui tutti i suoi amici si accorgono.
– ITALO SVEVO, a Montale, Charlton, 30 giugno 1926 –
E ancora il 6 dicembre del 1926 scrive:
Non giudichi malamente il Saba. È un candido. Voglio dire che con grande candidezza rivela la sua ambizione e anche la sua vanità. Talvolta m’interessa. Tutte le volte che non m’indigna…Io lo vedo meno che posso perché m’inquieta.
– ITALO SVEVO, a Montale, Trieste, 6 dicembre del 1926 –
…Saba dice di Svevo
In una lettera a Nino Curiel del 14 marzo 1926, Saba scrive che Svevo è “un narratore nato che incatena il lettore dalla prima all’ultima pagina” anche se in Scorciatoie e raccontini del 1946 ne critica la capacità di scrittura in lingua italiana:
Svevo poteva scrivere bene in tedesco; preferì scrivere male in italiano. Fu l’ultimo omaggio al fascino assimilatore della “vecchia” cultura italiana. È la storia dell’amore – prima della ‘redenzione’ – di Trieste per l’Italia.
– UMBERTO SABA, Scorciatoie e raccontini, 1946 –
Contraddittoria sembra essere anche la considerazione che Saba aveva dell’umanità di Svevo.
Nella narrazione La bistecca di Svevo in Scorciatoie e raccontini, riporta un episodio riferitogli dallo scrittore stesso:
Italo Svevo (che tutti quelli che l’hanno conosciuto sanno quanto fosse di miti ed umani costumi) raccontava volentieri (ed anche più di una volta, come fanno i vecchi, che amano ripetersi) di non aver mai mangiato con tanto gusto una bistecca come verso la fine dell’altra guerra, quando egli era (o credeva di essere) il solo in città a potersela permettere. Non era – oh no! – un diavolo tra tanti angeli; era solo un artista; e, come tale, accettava tutto quello che era nella natura, in lui e fuori di lui; confessava quello che gli altri uomini (i buoni, i puri) o sentono senza saper di sentire, o nascondono dietro un velo – più o meno appariscente – di lacrime ipocrite.
– UMBERTO SABA, La bistecca di Svevo in Scorciatoie e raccontini, 1946 –
Saba affermava che Svevo era un uomo “pieno di meriti e di (relativa) comprensione degli altri”. La “relatività” di questa sua capacità di comprendere le esigenze del prossimo viene messa in luce in un racconto che Saba fa a Quarantotti Gambini:
Ci trovavamo una sera al caffè coi soliti amici e uno di noi, non ricordo chi, accennò a un nostro amico pittore il quale attraversava delle preoccupanti strettezze. Vedemmo Svevo all’istante alzare le braccia e agitarle in aria con le palme aperte No steme domandàr gnente a mi! mi no go! mi no posso! Gridò. Fu un momento penoso, perché nessuno gli aveva chiesto né intendeva chiedergli di aiutare quel pittore.
– PIER ANTONIO QUARANTOTTI GAMBINI, Il poeta innamorato: ricordi, 1984 –
Sempre in un racconto a Gambini, Saba dà un’immagine irosa di Svevo:
Svevo ci teneva a essere un grande uomo d’affari, e io non credo che lo fosse. La mente direttrice dell’azienda doveva essere sua suocera, la signora Veneziani. Svevo, o meglio Schmitz, era secondo me la figura rappresentativa che la suocera manovrava. Un giorno che discutevamo assieme d’affari, Svevo ebbe all’improvviso, e del tutto imprevedutamente per me, che pure credevo di conoscerlo abbastanza, un scatto d’ira. Cossa la vol saver lei – mi gridò – che in afari la xe apena un pulisìn, che mi se voio posso far cussì, cussì continuava a dirmi e mastruzzarlo! Guardando me e poi a terra, Svevo faceva ripetutamente l’atto di schiacciare qualcosa sotto il tacco. Non posso dimenticare il compiacimento, il gusto con cui Svevo, immaginando di avermi sotto il tacco, faceva e rifaceva il gesto di schiacciarmi.
– PIER ANTONIO QUARANTOTTI GAMBINI, Il poeta innamorato: ricordi, 1984 –