Italo Svevo aveva una grande passione per la musica e per il teatro, e fu uno dei primi appassionati di Wagner a Trieste.
Nel suo romanzo Senilità vi è un importante passo dedicato a una messa in scena al Teatro di Trieste de La Valchiria di Wagner e Amalia Brentani, sorella del protagonista Emilio, si commuove a tal punto da sentirsi quasi male dall’emozione.
La stessa sera fratello e sorella andarono a teatro, ed Emilio sperava che lo svago insolito fosse perciò maggiore per la sorella…Ella si lasciava cullare nei suoi pensieri da quella strana musica di cui non percepiva i particolari, ma l’insieme ardito e granitico che le sembrava una minaccia. Emilio la strappò per un istante ai suoi pensieri per domandarle come le piacesse un motivo che continuava a risuonare nell’orchestra. – Non capisco – ella rispose. Infatti ella non lo aveva sentito. Ma, assorbito da quella musica, il suo grande dolore si coloriva, diveniva ancora più importante, pur facendosi semplice, puro, perché mondato d’ogni avvilimento. Piccola e debole, ella era stata abbattuta; chi avrebbe potuto pretendere ch’ella reagisse? Mai non s’era sentita tanto mite, liberata da ogni ira, e disposta a piangere lungamente, senza singhiozzi. Non poteva farlo e questo mancava al sollievo. Ella aveva avuto torto asserendo di non comprendere quella musica. La magnifica onda sonora rappresentava il destino di tutti. La vedeva correre giù per una china guidata dall’ineguale conformazione del suolo. Ora una sola cascata, ora divisa in mille più piccole, colorite tutte dalla più varia luce e dal riflesso delle cose. Un accordo di colori e di suoni in cui giaceva l’epico destino di Sieglinda, ma anche, per quanto misero, il suo, la fine di una parte di vita, l’inaridirsi di un virgulto. E il suo non domandava più lagrime di quello degli altri, ma le stesse, e il ridicolo che l’aveva oppressa non trovava posto in quell’espressione che pure era tanto completa.
– Senilità, 1898 –
Nella seconda metà dell’Ottocento, il pubblico triestino amava sia il teatro musicale che in prosa, e una delle caratteristiche era quella di fare della musica da salotto. La ricca borghesia usava riunirsi nei salotti di famiglia per ascoltare brani musicali eseguiti da artisti o da loro stessi. Lo studio di uno strumento musicale era parte integrante della formazione dei giovani. Il celebre violinista e compositore triestino, Cesare Barison, nella sua breve storia della musica a Trieste dal 1801, anno dell’inaugurazione del Teatro Verdi, alla prima metà del Novecento, descrive il salotto della “musicalissima famiglia Veneziani di Servola”:
Che dire poi della musicalissima famiglia Veneziani di Servola? Bruno, pianista, era un vero concertista: a tutti è nota la passione per il violino di Ettore Schmitz (Italo Svevo) marito di Livia Veneziani; Giuseppe Oberti di Valnera, marito di Dora Veneziani, eletta cantatrice, era ottimo violoncellista.
Nella villa Veneziani si potevano incontrare i migliori musicisti della città: in tale accogliente casa Antonio Illesberg organizzo un coro femminile, e per parecchi anni i Veneziani ospitarono per sei mesi all’anno una grande maestra di canto, Molly Henricksen di Berlino, che curava le belle voci di casa.
[…] Oltre che nella borghesia colta, gli innamorati della buona musica si potevano trovare a Trieste in ogni ceto sociale, in ogni categoria di lavoratori, in particolar modo tra letterati e artisti.
Carlo Wostry [pittore amico di Svevo] oltre alla chitarra, strumento prediletto, suonava bene il pianoforte; Gianni Marin [scultore, un conoscente di S.] era pure ottimo pianista … Giuseppe Barison [pittore] oltre alla chitarra studiava il violoncello, Bruno Croatto [pittore] si occupava di composizione e passava lunghe ore all’armonio, Gino Parin [pittore] suonava la spinetta, Ugo Flumiani [pittore] il violino. Tullio Silvestri [pittore amico di Joyce, che ritrae nel 1913 ] era un chitarrista di classe: il suo autore preferito era Bach.
– CESARE BARISON, Trieste città musicalissima, 1976 –
Il Teatro Verdi
Epicentro della vita civile e culturale di Trieste era il Teatro Nuovo. Fu costruito tra il 1798 e il 1801 e prese il nome prima di Regio Teatro Nuovo e poi di Teatro di Trieste, nel 1821 fu rinominato Teatro Grande. Ospitò importanti rappresentazioni di Salieri, Giovanni Pacini, Pietro Generali, Cesare Pugni e Federico Ricci. Rossini fu dato per la prima volta a Trieste con L’Italiana in Algeri (1816), Donizetti con L’Ajo nell’imbarazzo (1826) e Bellini col Pirata (1831). Nel 1843-1844 venne rappresentato con grande successo Il Nabucco di Giuseppe Verdi, che ebbe ben venti repliche. Quando il comune acquistò l’edificio nel 1861 cambiò nome in Teatro Comunale. Nel 1875 ebbe grande successo di pubblico e di critica la prima opera di Wagner, il Lohengrin e nel 1883 venne rappresentata la tetralogia wagneriana L’anello del Nibelungo che ottenne un grande favore di pubblico. Quando nel 1901 morì Verdi, la notte stessa con delibera della Deputazione comunale il teatro venne rinominato Teatro Verdi in onore del grande compositore. Il teatro rispecchiava il cosmopolitismo della città stessa, crocevia di culture diverse: italiana, tedesca, slovena e portò il pubblico a conoscenza delle opere dei compositori mitteleuropei.
Agli inizi del novecento nuove tendenze musicali entrarono a far parte del repertorio musicale cittadino. Il milieu musicale si fece più disomogeneo, si divideva tra la nostalgia del passato per la musica di Beethoven, Wagner, Verdi e l’irrequietezza di una ricerca verso atmosfere inconsuete come Indy, Sibelius, Perosi, Schönberg.