Stivaletti, scarpine…che passione!

Cartolina di Umberto Veruda a Giacomo Campagnano da Guben (DE) 8 giugno 1898 - manoscritto autografo - Museo Sveviano, Trieste.
Cartolina di Umberto Veruda a Giacomo Campagnano da Guben (DE) 8 giugno
1898 – manoscritto autografo – Museo Sveviano, Trieste.

Italo Svevo aveva una passione feticista per i piedi ben calzati delle donne. Spesso fa accenno a Livia nelle lettere agli stivaletti e scarpine della moglie:

…Lavoro con una lentezza fenomenale. Di tutto questo sei causa tu. E dire che una volta vivevo benino anche se tu non c’eri. Mi coglie il desiderio come una soffoca­zione. E sempre un desiderio iroso. Penso anche con ira ineffa­bile a quei stivalini gialli che portasti tanto di rado, o mai accan­to a me per portarli nagelneu al luogo di bagni. Scusami cer­te parole amare che mi sfuggono. Se – per evitarle – strac­ciassi questa lettera, non so se rifacendola – in altra forma – non ritornerebbero nella penna. Sono cosi e bisogna prendermi come sono. È vero che se tu avessi saputo come ero, non mi avresti preso affatto.
– ITALO SVEVO, a Livia, Trieste, 17 Maggio 1898 –

Sai cosa fece quella matta di Nella? Mandò per Letizia un ma­gnifico paio di scarpe e una tazza d’argento magnifica. Per te poi mandò un paio di stivaletti cosi belli che arrossii pensando ch’es­sa voleva fare nello stesso tempo un regalo a me. Il male è che a me gli stivaletti soli non piacciono. Occorre il piede dentro e di su il resto.
– ITALO SVEVO, a Livia, Trieste, 21 Maggio 1898 – 

Ecco un argomento che mi dà un poco a pensare per l’abolizione di quelle n. piccole pru­denze. Questa notte sognai di certi stivaletti di lacca che diedero origine ad una violenta n. disputa durante una tua assenza. (…) Sono fiaccato e, sempre, dopo la tua partenza mi trovo in, un’in­quietudine disastrosa. Ricordo ancora con rancore che quella cavra di Titina impedi il n. ultimo addio. Fa, te ne prego, in modo di non abbisognare di Levico. Io avrei amato di vederti fare la cura di ferro già ora. A Franzensbad le due cure sono con­temporanee. Potrebbero esserlo del pari a Salso. Come faremo, oh capra mastodontica, per distinguerti da quell’altra più piccola, coi denari e poi last and not least con la pazienza? Mi dici che la chimica dovrebbe insegnare a fondere ma per fondere occor­re anche in chimica mettere tutto in un solo provino. Vieni, vie­ni nel mio provino e vedrai come ci fonderemo.
– ITALO SVEVO, a Livia, Trieste, 11 Maggio 1900 – 

Nelle prime pagine del romanzo Una vita Alfonso Nitti è attratto da una sconosciuta che ha “un piedino calzato in eleganti scarpette lucide” e la segue come attratto da quella vista.

Una sera, correndo, si trovò dietro ad una donna che passando lo aveva guardato. Vestita di nero, teneva molto alta la sottana e lasciava vedere un piedino calzato in eleganti scarpette lucide, una calza nera, l’attaccatura del piede gentilissima per un corpo agile ma non misero. Alfonso vide ancora il collo, dalla pelle bianchissima; nulla della faccia. Risolutamente la seguì, la sorpassò, poi l’attese come un cagnolino. La signora a lui pareva ridesse guardandolo alla sfuggita e, incoraggiato, egli si propose di avvicinarla. Era la prima volta ch’egli si trovasse in tale imbarazzo. Ebbe delle esitazioni che lo costrinsero poi ad accelerare il passo. Ella attraversò il Corso e imboccò via Cavana; doveva passare dinanzi alla biblioteca. — Alla peggio andrò in biblioteca, — pensò Alfonso per dare alla sua passeggiata una meta sicura.
Una vita, 1892 –

Il protagonista della Coscienza di Zeno confessa che le donne gli piacciono a pezzi e di tutte ama i piedini ben calzati. Una donna non gli basta, ma le desidera tutte: nella sua immaginazione le spoglia, lasciando loro addosso soltanto “gli stivaletti”.

Gli [allo psicanalista] raccontai della mia miseria con le donne. Una non mi bastava e molte neppure. Le desideravo tutte! Per istrada la mia agitazione era enorme: come passavano, le donne erano mie. Le squadravo con insolenza per il bisogno di sentirmi brutale. Nel mio pensiero le spogliavo, lasciando loro gli stivaletti, me le recavo nelle braccia e le lasciavo solo quando ero ben certo di conoscerle tutte.
La coscienza di Zeno, 1923 –